L’Antichità e il Medioevo

Sin dalle remote epoche della preistoria il poggio cui si darà il nome di Tolentino, altura avanzata sulla piana solcata dal fiume Chienti, fu luogo ininterrottamente prescelto per l’insediamento delle varie popolazioni succedutesi nella vallata.

Dal ciottolo inciso con la figura di donna nuda con testa zoomorfa, ritrovato in una cava a est della città nel 1884 e riferibile al Paleolitico superiore, passiamo all’età Neolitica e a quella del Bronzo legata alla cosiddetta “civiltà picena” che nella vasta necropoli rivela forme notevoli di evoluzione sociale.

Sulla provenienza di questa civiltà ferro-picena Plinio e Strabone riferiscono la leggenda della “primavera sacra”, secondo la quale alcuni giovani migrarono dalla Sabina oltre l’Appennino per trovare nuove terre nelle quali stabilirsi.

Ulteriori studi hanno portato all’ipotesi dell’insediamento di genti transadriatiche che si sarebbero spinte considerevolmente nell’interno.

Teorie che non trovano ancora la soluzione definitiva dei problemi aperti, anzi li accrescono per la conseguente e non improbabile distinzione tra Piceni e Picentes, questi ultimi ascritti più tardi dai Romani alla tribù Velina.

Lo stesso nome di Tolentino trova discordi gli studiosi sulla sua radice: da quella del Filelfo che lo fa derivare dal greco thòlos a quella più recente che lo ritiene derivato dalla radice tul con il significato di “limite” o, per meglio dire, “definitivo confine”.

Ambedue ci riportano al tema della trasmigrazione di popolazioni diverse e al consolidamento di una di esse.

Del periodo romano mancano per Tolentino citazioni specifiche da parte degli storici, ad eccezione di Plinio e dei Gromatici veteres.

Da questi e dalle iscrizioni delle lapidi sappiamo che Tolentino, compresa nel Picenum Suburbicarium, fu forse colonia e di certo municipio romano. Purtroppo quasi ogni rudere dell’epoca romana è andato perduto per il sovrapporsi continuo di nuovi edifici, ad eccezione dei resti di una costruzione termale sotto il Palazzo Comunale, ma una non dubbia testimonianza della situazione della città, sia pure al limite del periodo romano, ci proviene dalla figura di Flavio Giulio Catervio,  prefetto del pretorio, ritiratosi a Tolentino verso la fine del IV secolo, del quale si conservano il magnifico sarcofago e quanto rimane del relativo panteum.

Secondo la tradizione a Flavio Giulio Catervio si deve la conversione al cristianesimo dei tolentinati, i quali lo proclameranno loro protettore con il nome contratto di San Catervo e presso il suo sepolcro costruiranno una chiesa retta da un vescovo, come si desume dagli atti dei Concili Romani dal 487 al 502, sottoscritti appunto dal vescovo tolentinate.

Dopo quest’ultima data la città e il suo territorio verranno compresi nella circoscrizione diocesana di Camerino.

Ormai svanita ogni autorità dell’Impero, le Marche, nella bipartizione amministrativa di Piceno Annonario e di Piceno Suburbicario, divennero territorio di stanziamenti barbarici, di incursioni, saccheggi e scontri di opposti eserciti e soldataglie così che gli abitanti si videro costretti ad abbandonare le città e a cercar rifugio sulle alture.
Tolentino non subì la sorte comune delle altre città della vallata del Chienti, che furono abbandonate e distrutte, ma continuò a sussistere, sia pure in limiti ristretti e con un numero esiguo di abitanti, in quanto il panteum triabsidato del prefetto Catervio, divenuto luogo di culto e affiancato dalla fondazione monastica della cella Sanctae Mariae, trovò, secondo le costumanze barbariche, il dovuto rispetto da parte degli invasori.

Le carte dell’archivio comunale e di quello di San Catervo risalgono tutte a dopo il Mille e per una eventuale conferma relativa al periodo precedente si ha il riferimento indiretto dell’antichissima chiesa di San Catervo, risalente al periodo carolingio, per la cui ricostruzione intervenne papa Alessandro IV nel 1256.

L’imperatore Enrico IV con un esplicito diploma del 1047 prese sotto la sua protezione il piccolo cenobio e nel 1099, con apposito instrumento, l’imperiale monastero del Ss. Salvatore di Rieti ricevette dal vescovo Ugone di Camerino ogni diritto sulla “città”, sulla chiesa e sulla pieve di S. Maria con tutto il territorio, i cui confini vengono dettagliatamente precisati.

Tale dipendenza, non comportando alcuna ingerenza nelle questioni interne del monastero, né nei suoi rapporti con la comunità civile e sue pertinenze, non impedì la costituzione del Comune con i suoi propri consoli, grazie alla quale nel 1166, dietro intervento dei figli del Marchese di Ancona, il Monastero di Rieti perdette ogni predominio.

Il Comune cercò allora di accrescere il suo territorio con l’annessione di borghi e castelli vicini, convincendo padroni e proprietari a stabilirsi nel centro abitato. A questo periodo risalgono le costruzioni di notevole mole e di particolare rilievo artistico di edifici pubblici e privati e di chiese, del ponte sul Chienti e dei primi tratti delle mura castellane.

La magistratura comunale, espressione di un’ampia partecipazione popolare, superando gli impacci provocati dalle ininterrotte pretese, giustificate o meno, del monastero e dai tentativi egemonizzanti da parte della famiglia Accoramboni, cercò di trovare appoggio in altre forze popolari, rappresentate dagli ordini religiosi “mendicanti”, i Francescani e gli Agostiniani, e nella presenza prestigiosa di due santi: Tommaso da Tolentino, che terrà accesa la polemica sulla povertà imposta dalla regola di S. Francesco, e Nicola, agostiniano, nativo di Sant’Angelo in Pontano che, trasferitosi a Tolentino, aprì il suo convento alla voce del popolo “minuto” sovvenendo alle sue necessità.

La vita cittadina, un tempo racchiusa in un’atmosfera domestica e serena, defilata dalle lotte dei grandi interessi politici regionali, si troverà coinvolta direttamente nei contrasti tra l’autorità papale, Federico II e re Manfredi, con il conseguente determinarsi di alleanze e discordie, cedimenti e scontri che si protrarranno per oltre cinquanta anni tra comune e comune, tra famiglia e famiglia per l’adesione all’una o all’altra delle fazioni in lotta, la guelfa e la ghibellina.

Dopo aver infranto nel 1342 un nuovo tentativo degli Accoramboni di farsi signori del Comune, nel 1353 Tolentino aderì alla lega ghibellina capeggiata dal vescovo Visconti ma, con la nomina a rettore della Marca del cardinale Egidio Albornoz, restaurato il potere pontificio, Tolentino e altre città vennero riportate all’obbedienza. Nelle famose Costituzioni Egidiane, emanate nel 1357 e rimaste in vigore fino alla Rivoluzione francese, Tolentino fu inclusa tra le “città medie” e, in seguito, posta sotto il vicariato di Rodolfo Varano, capitano delle truppe papali.

Tale forma indiretta di dominio, mal sopportata dai Tolentinati, ebbe termine con l’uccisione di Berardo Varano nel 1434; alcuni anni dopo Eugenio IV dichiarerà il Comune soggetto direttamente alla Chiesa.

Tratto da: Giorgio Semmoloni (a cura di), Tolentino. Guida all’Arte e alla Storia, Comune di Tolentino – Accademia Filelfica, 2000

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